“Eliminazione dei kulak come classe”

La “dekulakizzazione” (raskulačivanie)
della popolazione contadina, cioè la confisca di tutti i beni mobili e immobili
dei contadini dichiarati “kulak” e la loro deportazione, cominciò con la cosiddetta
“collettivizzazione totale” nell’autunno del 1929. Punto di partenza per la
campagna repressiva nei confronti dei contadini fu l’intervento di Stalin
alla Conferenza degli agrari marxisti (27 dicembre 1929), che annunciava il
passaggio dalla politica di contenimento delle “tendenze sfruttatrici dei
kulak” alla “politica di eliminazione dei kulak come classe”. Immediatamente
dopo tale intervento (prima ancora che venissero approvati documenti ufficiali
in materia) gli organi locali del partito e l’apparato dell’OGPU cominciarono
a espropriare e deportare le famiglie dei kulak.


Il 30 gennaio 1930 il Politbjuro del CC della VKP(b)
approvò la risoluzione segreta “Misure per la liquidazione delle aziende dei
kulak nelle regioni collettivizzate”. Secondo questa risoluzione, i contadini
coinvolti nella dekulakizzazione si dividevano in tre gruppi:


- Nel primo (60.000 aziende) rientravano
i contadini (indipendentemente dalla loro situazione patrimoniale) che avevano
opposto resistenza alla collettivizzazione. Costoro erano soggetti all’arresto
e alla reclusione in campi di concentramento, e “i più irriducibili” alla
fucilazione.


- Il secondo (150.000 aziende) comprendeva
i “kulak” (cioè i contadini benestanti, che nella loro azienda utilizzavano
lavoro salariato) che non avevano opposto resistenza alla collettivizzazione.
I famigliari dei kulak di prima categoria e i kulak di seconda categoria (con
le famiglie) erano soggetti alla deportazione in località lontane dell’URSS
o in remote province della regione (territorio, repubblica) d’origine (specposelenie).


- I kulak appartenenti alla terza categoria
( i meno “pericolosi”) erano trasferiti, all’interno della regione di appartenenza,
in appositi insediamenti, oltre i confini dei kolchoz.


Il Politbjuro stabilì quali regioni andavano sottoposte
alla dekulakizzazione e dove dovevano sorgere i nuovi insediamenti, fissò
i tempi dell’operazione e il numero orientativo dei kulak da rinchiudere nei
campi di concentramento e da deportare in regioni lontane del paese (in tutto
245.000 famiglie). Gli elenchi dei kulak di prima categoria (i più “pericolosi”
dal punto di vista delle autorità) erano compilati dagli organi dell’OGPU
(gli stessi che eseguivano gli arresti), gli elenchi della seconda e  terza
categoria erano compilati dai comitati esecutivi regionali in base alle “raccomandazioni”
dei comitati di contadini poveri (kombed) e degli attivisti locali,
e confermati dagli organi superiori. Responsabili delle deportazioni erano
le “trojke operative” (organi collettivi composti da tre dirigenti locali),
comandate dal capo della sezione dell’OGPU.


Contemporaneamente alla deportazione si provvedeva
all’esproprio delle aziende dei kulak (oltre alle proprietà erano confiscate
le scorte alimentari e tutti i risparmi). La confisca era affidata ad appositi
incaricati, rappresentanti dei comitati esecutivi regionali con la partecipazione
di rappresentanti dei soviet rurali, dei kolchoz e dei kombed. Le proprietà
confiscate e i mezzi di produzione erano consegnati ai kolchoz (a estinzione
delle quote d’ingresso di contadini poveri e braccianti), in parte (vestiti,
scarpe) erano distribuite ai poveri come “stimolo materiale” per invogliarli
a partecipare alle operazioni. La dekulakizzazione fu spesso pretesto per
saldare conti personali, e in pratica coinvolse anche una parte consistente
di contadini medi e poveri e perfino di braccianti e operai (in alcune zone
fino all’80% degli espropri).


La dekulakizzazione e la deportazione dei contadini
si svolsero in due fasi: la prima fra l’inverno e la primavera del 1930, la
seconda dall’autunno del 1930 alla primavera del 1931. Le cifre preventivate
per l’arresto dei kulak di prima categoria erano superate già verso
la metà di febbraio del 1930. Entro l’ottobre del 1930 erano state arrestate
283.717 persone, prevalentemente contadini che avevano partecipato a moti
e rivolte.


Già nell’agosto del 1930 le persone sottoposte a
dekulakizzazione e repressioni superavano il milione e mezzo. In due anni
giunsero negli insediamenti speciali 388.000 famiglie  (circa 1,8 milioni
di persone; non si sa quanti morirono o fuggirono durante il viaggio). Fu
l’Ucraina a “fornire” il maggior numero di deportati (63.700 famiglie), seguita
dalla Siberia Occidentale (52.100 famiglie) e dal Caucaso Settentrionale (38.400
famiglie). Circa 200-250.000 famiglie fecero in tempo a “dekulakizzarsi da
sole”, riuscirono cioè a vendere o distribuire ai parenti i loro averi e a
fuggire dai luoghi di residenza (di regola, verso le città e i grandi cantieri).


Il 20 luglio 1931 il Politbjuro del CC della VKP(b)
riconobbe che l’operazione per la deportazione in massa dei kulak era fondamentalmente
conclusa, perciò per il futuro si autorizzava solo il trasferimento di singoli
individui. Nonostante ciò, la deportazione continuò anche negli anni seguenti,
benché in proporzioni un po’ ridotte. Solo nell’anno 1933 furono deportate
286.000 persone. Dal 1932 al 1940 negli insediamenti giunsero ancora quasi
mezzo milioni di contadini, che sommati ai deportati nel 1930-1931 davano
2.540.000 specpereselency.


Le principali zone d’insediamento dei “kulak” furono
il nord della Russia Europea (230.000), il Kazachstan (192.000), gli Urali
(circa 550.000), la Siberia Orientale e Occidentale (375.000). I contadini
venivano distribuiti in piccoli villaggi in località remote e scarsamente
popolate, sotto la direzione di comandanti (i cosiddetti “villaggi di lavoro”).
I deportati erano privati del diritto di voto e lavoravano nei campi (venivano
loro assegnati degli appezzamenti che in passato non erano stati utilizzati
per l’agricoltura), al taglio dei boschi, e anche nei cantieri industriali,
nell’industria pesante, carbonifera e nelle miniere d’oro. Le pesanti condizioni
di lavoro e di vita, la fame, il gelo, le malattie causarono un’altissima
mortalità e numerose fughe. Secondo stime diverse, nei primi due anni morirono
fra i 350.000 e i 400.000 deportati (la mortalità rimase alta anche negli
anni successivi).


Molti dei contadini deportati al tempo della collettivizzazione
furono liberati dopo la guerra. Gli ultimi “kulak” rimasti negli insediamenti
furono liberati con la risoluzione del Consiglio dei Ministri dell’URSS del
13 agosto 1954, “Annullamento delle limitazioni di residenza per ex kulak
e altre persone”. La riabilitazione dei contadini repressi nel periodo della
collettivizzazione cominciò solo dopo il 1991. Ma ritornare nel luogo d’origine
o ottenere un risarcimento (per loro o per gli eredi) per le proprietà perdute,
è tuttora estremamente difficoltoso, soprattutto perché mancano i documenti
che comprovino la proprietà.

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“Velikij perelom” ili modernizacija po-stalinski,



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Skol’ko bylo soslano kulakov? // http://stalinism.narod.ru/kulak.htm.