Nasce la Direzione generale per le questioni letterarie e artistiche

Le prime limitazioni alla libertà di parola nella Russia Sovietica furono sancite dal Decreto sulla stampa, firmato da Lenin il 27 ottobre (9 novembre) 1917. Il divieto della stampa non bolscevica (“controrivoluzionaria”) e la censura erano presentati come misure temporanee, straordinarie, che dovevano essere revocate “non appena si fosse consolidato il nuovo ordine”. Tuttavia l’articolo 14 della Costituzione della RSFSR (luglio 1918) consentiva l’edizione e la libera diffusione di produzione a stampa solo “per la classe operaia e i contadini poveri”.
Per mettere in atto le limitazioni censorie nel 1918 furono creati il Tribunale rivoluzionario per la stampa e la censura militare. Dal 1919 al 1921 ebbe funzioni di censura anche il Gosizdat (le Edizioni librarie di stato, che in quel periodo detenevano il monopolio dell’editoria). Inoltre il Governo sovietico (di fatto i bolscevichi) concentravano nelle loro mani tutte le risorse materiali necessarie per la pubblicazione di edizioni periodiche e libri.
Dopo la fine della Guerra civile la censura militare e il Tribunale rivoluzionario per la stampa furono aboliti. Al 1921, dopo l’introduzione della NEP, cominciarono a proliferare le case editrici private e la stampa indipendente, che si permetteva di commentare criticamente molte iniziative dei bolscevichi. Ciò suscitò l’ira della dirigenza sovietica e la decisione di ripristinare pienamente la censura. Si arrivò così alla creazione della Direzione generale per gli affari letterari e artistici (Glavlit).
Il Regolamento dell’8 giugno 1922 così definiva i compiti del Glavlit: “a) esame preventivo di tutte le opere sia manoscritte, sia a stampa, di tutte le edizioni periodiche e non periodiche, le fotografie, i disegni, le carte ecc., destinate alla pubblicazione o alla diffusione; b) concessione dell’autorizzazione alla pubblicazione per singole opere e organi di stampa: c) compilazione degli elenchi delle opere a stampa di cui è vietata la vendita e la diffusione; d) edizione di regolamenti, disposizioni e istruzioni relative alle questioni di stampa, vincolanti per tutti gli organi di stampa, le case editrici, le tipografie, le biblioteche e le librerie”. Il Glavlit e i suoi organi, si diceva nel Regolamento, “vietano la pubblicazione e diffusione di opere: che contengano propaganda contro il potere sovietico, che svelino segreti militari della Repubblica, che agitino l’opinione pubblica tramite diffusione di informazioni false, che abbiano carattere pornografico”.
Fino al 1933 il Glavlit dipese dal commissariato del popolo all’istruzione, poi se ne staccò diventando un organo separato presso il Consiglio dei commissari del popolo (dal 1946, Consiglio dei Ministri) dell’URSS e da allora esistette come istituzione indipendente con l’eccezione del 1953 (quando il Glavlit per alcuni mesi fu incluso nel sistema del Ministero degli Interni) e del periodo 1963-1966 (quando fece parte del Comitato statale per la stampa). Nel CC della VKP(b) (CC del PCUS) era la sezione propaganda e agitazione a occuparsi del Glavlit, e a fornirgli orientamenti ideologici generali e indicazioni concrete. Questa stessa sezione, insieme a quella culturale, era l’ultima istanza a cui potevano appellarsi gli autori le cui opere erano state rifiutate dalla censura. Oltre all’apparato centrale del Glavlit, che aveva sede a Mosca, esistevano degli uffici (sezioni) regionali ad esso subordinati. Nelle varie sezioni del Glavlit lavoravano circa 6000 persone.
Originariamente erano sottratte alla censura le edizioni del Comintern, della VKP(b), dell’Accademia delle Scienze, del Gosizdat e del Glavpolitprosvet (che pubblicava opere di istruzione politica). Nel 1930 in base al nuovo “Regolamento del Glavlit”, questi privilegi furono aboliti e il Glavlit venne incaricato del controllo politico-ideologico di tutte le opere a stampa, le trasmissioni radiofoniche (in seguito anche televisive), le conferenze e le esposizioni. In quell’occasione fu anche introdotta la cosiddetta censura ulteriore, che consentiva ai censori di correggere anche opere già pubblicate. Alla fine degli anni ’30 alla censura era sottoposta praticamente tutta la produzione tipografica, fino ai biglietti da visita, agli ex libris, ai biglietti di auguri, ai taccuini, agli album per fotografie (la censura di questi oggetti fu abolita solo nel 1989). Errori e refusi “ideologicamente dannosi” in epoca staliniana potevano costare l’arresto all’autore o al redattore.
Già negli anni ’20 il Glavlit compilò un “Elenco delle persone le cui opere sono soggette a confisca”, in base al quale, a partire dal 1923, cominciarono a venire “ripulite” le biblioteche e le librerie. Le confische divennero generalizzate negli anni ’30, soprattutto fra il 1929 e il 1933 e nel 1937-1938. La maggior parte delle opere confiscate, soprattutto nel 1937-1938, veniva distrutta sul posto. Inoltre, dai libri si strappavano le pagine in cui si parlava dei “nemici del popolo” o comparivano i loro ritratti. Tali operazioni erano spesso legate alla situazione contingente: così, dopo la firma del patto Molotov-Ribbentrop furono sottoposte a confisca opere di scrittori antifascisti. Agli anni ’30 risale anche la creazione dei “fondi speciali” o “depositi speciali” e delle sale di lettura riservate a particolari categorie di lettori, in cui erano concentrati i libri sottratti all’uso comune, ma non distrutti, e anche le opere “dannose” pubblicate all’estero. Nel periodo del “disgelo” si assisté a un certo ammorbidimento della censura: centinaia di autori “proibiti” poterono essere pubblicati, uscirono dai depositi e dai fondi speciali, per diventare accessibili a tutti, libri e opere di autori riabilitati o che parlavano di loro. Ma nel periodo della “stagnazione” si ebbe un nuovo inasprimento della censura, che raggiunse il suo apogeo nella prima metà degli anni ’80.
Anche le strutture di partito e gli organi della sicurezza dello Stato contribuivano attivamente a esercitare il controllo ideologico. Inoltre, esisteva un esercito di redattori di case editrici, fra i cui compiti rientrava non solo la preparazione dei materiali da pubblicare, ma anche la vigilanza sulla “coerenza ideologica” del loro contenuto (ricordiamo che dalla fine degli anni ’20 all’inizio degli anni ’90 tutte le case editrici, le stazioni radio e i canali televisivi in URSS erano statali).
Con l’inizio della perestrojka gorbačëviana, il Glavlit perse gradualmente le sue funzioni di controllo. Dopo l’abolizione ufficiale della censura (12 giugno 1990), in base alla Legge sulla stampa, nell’agosto 1990 fu ribattezzato “Direzione generale per la tutela dei segreti di Stato sulla stampa in URSS”, e nel luglio 1991 “Agenzia per la tutela dei segreti di Stato sui mezzi di informazione di massa"(all’interno del Ministero dell’informazione e della stampa dell’URSS). Il 25 ottobre 1991, con l’abolizione del Ministero dell’informazione e della stampa, il Glavlit dell’URSS fu sciolto, insieme alle sue sezioni. Oggi, secondo la Costituzione, in Russia è vietata qualsiasi forma di censura (la divulgazione di segreti di Stato e militari è perseguita penalmente).

Fonti: D.L. Babičenko, Pisateli i cenzory. Sovetskaja literatura 1940-ch gg. pod političeskim kontrolem CK, Moskva 1994.
Gosbezopasnost’ i literatura. Na opyte Rossii i Germanii (SSSR i GDR), [raccolta di articoli e relazioni], Moskva 1994.
Isključit’ vsjakie upominanija. Očerki istorii sov. cenzury, a cura di T.M. Gorjaeva, pref. di K. Ajmermacher, Minsk-Moskva 1995.
Cenzura v carskoj Rossii i Sovetskom Sojuze. Materialy konferencii (24-27 maja 1993), Moskva 1995.
Istorija sovetskoj političeskoj cenzury. Dokumenty i kommentarii, a cura di T.M. Gorjaeva, Z.K. Vodop’janova et al., Moskva 1997.
A.V. Bljum, Sovetskaja cenzura v epochu total’nogo terrora. 1929-1953, Sankt-Peterburg 2000.
R.J. Hill, Glasnost: Communications and the communist system, “Contemporary revue”, London 1987, vol. 251, n. 1461, pp. 173-178.
M.A. Fedotov, Byl li razrušen “Novyj Karfagen” (Iz istorii sov. zakonodatel’stva o cenzure), in Političeskie instituty i obnovlenie obščestva, Moskva 1989, pp. 185-194.
J. Brine, Perestroika and Soviet libraries, “Libri”, Copenhagen 1992, vol. 42, n. 2. pp. 144-166. Bibliogr.: pp. 162-166.
M.S. Fox, Glavlit, censorship and the problem of party policy in cultural affairs, 1922-28, “Sov. studies”, Glasgow 1992, vol. 44, n. 6, pp. 1045-1068.
A.V. Bljum, Častnye i kooperativnye izdatel’stva dvadcatych godov pod kontrolem Glavlita (Po archivnym dokumentam 1922-1929 gg.), “Kniga”, Moskva 1995, vol. 71, pp. 175-191.
G.V. Žirkov, Istorija sovetskoj cenzury: period komissaroderžavija (1917-1919 gg.), “Vestn. s.-Peterb. un-ta”, ser. II, Istorija, jazykoznanie, literaturovedenie, Sankt-Peterburg 1994, n.1, pp. 82-92.
A.V. Bljum, Zakat Glavlita. Kak razrušalas’ sistema sov. cenzury: dokument. chronika 1985-1991 gg., “Kniga”, Moskva 1995, vol. 71, pp. 168-187.
A.V. Bljum, Kak bylo razrušeno “Ministerstvo pravdy”: sovetskaja cenzura epochi glasnosti i perestrojki (1985-1991), “Zvezda”, Sankt-Peterburg 1996, n. 6, pp. 212-221.
G.V. Kostyrčenko, Sovetskaja cenzura v 1941-1952 godach, “Voprosy istorii”, Moskva 1996, n.11/12, pp. 87-94.
In Internet: A.M. Mazurickij, Vlijanie Glavlita na sostojanie bibliotečnych fondov v 30-e gody XX veka, http://library.ntu-kpi.kiev.ua/html/arhiv/arh177/tom2/section2/Doc91.HTML; http://www.internews.ru/smi/index/d297ablu.html