Il terrore rosso

Il terrore rivoluzionario iniziò letteralmente nei primi giorni del regime comunista. Gli arresti di massa, le uccisioni, i pogrom, le deportazioni e le requisizioni erano destinati a spaventare gli avversari del nuovo potere e a spezzare la resistenza delle "classi sfruttatrici" (nobiltà, borghesia, clero). Nello stesso tempo si sviluppò un'intensa propaganda di odio e violenza di classe.
Il 21 febbraio 1918 in Russia fu ufficialmente introdotta la pena di morte: il decreto "La patria socialista è in pericolo" sanciva il ricorso alle esecuzioni sommarie. Dopo l'assassinio del comissario per gli affari di stampa V. Volodarskij (20 giugno 1918) Lenin chiamò a compiere azioni terroristiche di massa contro i nemici del potere sovietico. Il terrore raggiunse il culmine dopo l'uccisione del presidente della Čeka di Pietrogrado Michail Urickij e l'attentato a Lenin del 30 agosto 1918. Il 2 settembre il Comitato esecutivo centrale panrusso (VCIK) approvò delle risoluzioni che proclamavano il terrore rosso di massa contro "la borghesia e i suoi agenti" e lo stato di guerra nella Repubblica sovietica, sotto la guida del Consiglio di guerra rivoluzionario. Ben presto (5 settembre) fu emessa un'ordinanza del Consiglio dei commissari del Popolo (SNK), in cui si diceva: "E' prevista la fucilazione per tutti coloro che hanno a che fare con organizzazioni delle guardie bianche, complotti e rivolte". "Per la morte di ogni leader, di ogni lavoratore sovietico devono pagare" decine, migliaia di persone. "La controrivoluzione deve soffocare nel proprio sangue".
In quei giorni a Mosca e a Pietrogrado migliaia di persone furono giustiziate di fatto senza processo: ex funzionari zaristi, sacerdoti, ufficiali, aristocratici, imprenditori e finanzieri. Ci furono sanguinose azioni repressive in molte città del paese. Solo in base ai dati ufficiali della Commissione Straordinaria Panrussa (VČK) "per Lenin" furono fucilate 6185 persone, incarcerate 14.829, 6407 rinchiuse nei lager, 4068 prese in ostaggio.
Ovunque fu introdotta la pratica degli ostaggi: persone assolutamente innocenti – famigliari di "nemici della rivoluzione", fra cui donne, bambini, vecchi venivano presi in ostaggio, allo scopo di assicurare la lealtà degli avversari potenziali del regime. Se nella regione si verificavano azioni controrivoluzionarie, gli ostaggi venivano giustiziati. I comunicati dei giornali e le voci su tali fucilazioni dovevano domare gli scontenti.
Nel contesto della Guerra civile gli eccessi di violenza divennero ben presto la norma della giustizia di stato. Principio fondamentale di tale politica repressiva era la "logica rivoluzionaria": "Legge suprema è il bene della rivoluzione, il bene della classe operaia". Per dimostrare la colpa non c'era bisogno di prove – bastava l'appartenenza a una classe o a un partito "estraneo". "Noi non conduciamo una guerra contro singole persone. Noi sterminiamo la borghesia come classe " – affermava il čekista Martyn Lacis.
Le repressioni al tempo della Guerra civile furono caratterizzate da grande efferatezza. La tortura era largamente impiegata: i carnefici della Čeka picchiavano le loro vittime e le innaffiavano d'acqua fredda al gelo, strappavano unghie, tagliavano nasi, orecchie e genitali, cavavano occhi, a volte bruciavano vivi i prigionieri. Nelle strutture repressive accanto a fanatici rivoluzionari lavoravano veri e propri sadici e criminali di professione, che derubavano le loro vittime.
Nella letteratura storica si incontra spesso l'affermazione che il terrore "rosso" fu una risposta adeguata a quello "bianco", controrivoluzionario.I metodi di lotta usati dalle forze antirivoluzionarie erano in effetti tutt'altro che teneri, ma nel complesso le repressioni perpetrate dalle armate bianche furono notevolmente inferiori alla violenza bolscevica per dimensioni e crudeltˆ. Il "terrore bianco" non aveva carattere sistematico, e non si basava su presupposti ideologici.
Il "terrore rosso" dur˜ ancora per qualche tempo dopo la fine della Guerra civile. La fucilazione di molte migliaia di ufficiali e funzionari militari dell'esercito di Vrangel' che non avevano fatto in tempo ad evacuare la Crimea, le violenze, un po' ovunque, contro il clero ortodosso e le popolazioni che difendevano le loro chiese dai saccheggi, la sanguinosa repressione delle rivolte contadine in occasione delle requisizioni forzate delle scorte alimentari – tutto questo avveniva già dopo la vittoria militare dei bolscevichi. Le azioni repressive di massa ebbero termine solo nel 1923.
E' impossibile calcolare il numero totale delle vittime del "terrore rosso". Né la VČK, né le altre strutture repressive tennero delle statistiche sistematiche. E spesso nelle zone vicine al fronte gli arresti e le fucilazioni non erano neppure documentati. Secondo i dati forniti dalla VČK, dal 1918 al 1920 furono arrestate 128.010 persone, di cui 8.641 vennero giustiziate. Ma questi dati sono chiaramente incompleti. In base alle testimonianze raccolte dalla commissione di Denikin, in quegli anni il "terrore rosso" costò la vita a 1.700.000 persone. Questa cifra appare notevolmente gonfiata, e tuttavia oggi non abbiamo basi documentarie per dedurre dati più precisi.

Fonti: Mel'gunov 1923, Fel'štinskij 1992, Litvin 1993, Werth 1999.